Tiziana Conti

Le immagini sono come un’orbita continua
di pannelli riflettenti che rispecchiano
la nostra “esorbitante” condizione moderna.
J. Baudrillard

L’unico residuo di realtà, continua il sociologo, è una superficie senza profondità, con un’intesa energia superficiale che è sufficiente a spingere i frammenti della realtà in un’orbita differente. In questo universo la comunicazione si consuma rapidamente, la disaccumulazione prevale sull’accumulazione, la mobilità delle immagini assume un ritmo vorticoso.
L’io si è ritirato dietro all’orizzonte di ogni possibilità, tanto che ogni progetto reca in sé la sua “negazione”.
La mancanza di un senso definito – o della definibilità del senso – assegna di conseguenza un ruolo di primo piano a margini e lateralità. Gli aspetti surrettizi dell’esistenza hanno determinato una perdita graduale dell’identità. Questa certezza viene assunta da Federico Piccari non come un dato di fatto aprioristico, quanto piuttosto come una condizione da verificare nelle diverse fasi di elaborazione del lavoro. Essa implica il coinvolgimento dell’artista nell’opera, la sovrapposizione di ambiti estetici diversi, la prevalenza delle ipotesi sulla soluzione finale.
La ricerca è caratterizzata da improvvise accelerazioni e decelerazioni del senso, che si palesano in una costante perdita di controllo nell’esecuzione, come afferma Piccari stesso. Ma quel che potrebbe sembrare un elogio tout court della casualità, è invece una giustificazione del “contegno probabilistico della cosa”: in questo modo Max Bense definisce uno status determinato dal fattore sorpresa che, pervadendo l’opera, ne garantisce l’originalità e l’innovazione.
La perdita di controllo emerge in modo chiaro già nella serie di lavori incentrati sullo Yeti. Si tratta di pittura su tavole di legno verniciate di bianco, assolutamente minimali; la materia-silicone si stratifica “fisicamente”, facendo dipendere il risultato finale da un’assenza di riposo, dal rapporto non premeditato tra la velocità del gesto e quella del processo di solidificazione a contatto con l’aria. La figura dello Yeti rimanda ad un archetipo, inglobando al suo interno una componente di ironia oggettiva. E’ di nuovo Baudrillard a parlare: l’oggetto assume una connotazione ironica, in quanto l’universo ha inghiottito il suo doppio, diventando perciò spettrale, trasparente.
La questione si fa ancora più intricata ed incisiva nel ciclo dei Re. La materia – carta – grezza, di uso quotidiano – lascia emergere una dialettica antagonista con la figura, emblematizzata dalla corona, ormai vuota di senso. L’identità è come assorbita, risucchiata all’interno di un’astrazione, così da provocare una vertigine taumaturgica, come si avverte anche nei Matador. Vittima e carnefice insieme, il matador definisce in modo ambivalente una realtà che costringe a passare “attraverso” lo specchio, per veder quel che prima appariva “nello” specchio. L’equilibrio dell’opera si gioca sulla commistione -sempre al limite – di archetipale e quotidiano, sull’accadimento imponderabile, dove la deviazione ha la meglio sulla prevedibilità.
Lo scarto, il salto diventano categorie centrali nei Colletti, duplice tipologia di lavori, complementari. Quelli su carta sono percettivamente aggressivi, nell’evidenziare l’operazione reiterata di travalicare e riempire attraverso il gesto. Piccari disegna infatti sulla carta i contorni della figurazione, indica tracce, orli di un linguaggio che esorcizza l’illusione. La cera trafigge la leggerezza della carta, rivelando un’icona dall’altra parte. La mancanza di controllo fa sì che, paradossalmente, la sola identità possibile risieda nell’impronta speculare, nel doppio. La disposizione in serie dei Colletti vanifica l’assetto strutturale, mettendo a nudo la ripetitività di forme-involucro riconoscibili solo nell’esteriore: l’ironia implicita in questo processo rende l’opera leggibile esteticamente.
La sequenza dei Colletti a terra si propone come installazione fortemente disturbante. Piccari ritaglia cartoncino da disegno, lo ricopre di tela, vi interviene pittoricamente, definendo forme che stringono l’aria, che si chiudono intorno al vuoto, paradigmi dell’invisibile, dell’intercettazione fugace. Appoggia i colletti su zerbini, oggetti qualunque, il cui significato si identifica coll’uso; in questo modo non solo accentua la perdita dell’identità, ma evidenzia il fatto che essa, per sussistere, – pur nella debolezza dell’apparenza – deve continuamente essere sferzata, provocata, calpestata.
Per dimostrare come i ruoli esistenziali siano confusi, Piccari procede ancora oltre, elabora ritratti fotografici di volti anonimi, rubati ad una folla indifferente, in situazioni di normale banalità.
L’alternanza di oggettività fredda (il mezzo fotografico) e di irrazionalità (la perdita di controllo nell’elaborazione) si evidenzia anche nel libro-opera, affollato di immagini debordanti, l’una a ridosso dell’altra. Sono frammenti di realtà, indizi rimescolati di continuo; traggono la loro forza dal sapersi ricomporre e rimodellare al di fuori dei luoghi comuni. Quel che conta non è infatti il singolo frammento, quanto piuttosto la reazione a catena che essi provocano, come dimostrano le biglie di plastica, condannate dalla loro leggerezza a spostarsi, a essere dovunque e in nessun luogo al contempo.
Metonimia dell’identità dell’uomo che risiede – forse – nella sua corto-circuitazione.

Tiziana Conti

Tiziana Conti

The images are like a continuous orbit
of reflective panels that reflect
our “exorbitant” modern condition.
J. Baudrillard

The only remainder of reality, continues the sociologist, is a surface without depth, with an intensive surface energy that is sufficient to push the fragments of reality in a different orbit. In this universe communication is consumed rapidly, the disaccumulation prevails over the accumulation, the mobility of the images assumes a whirling rhythm. The I is secluded behind the horizon of every possibility, as much as every project contains to itself its “negation”. The lack of a definite – O sense of the definability assigned – sense of consequence of role of the cose up i margin and laterality. The surreptitious aspects of existence have determined a gradual loss of identity. This certainty is assumed by Federico Piccari not as a priori fact, but rather as a condition to verity in the different phases of elaboration of the work. It implicate the involvement of the artist in the opera, the superimposition of different aesthetic contexts, the prevalence of the hypothesis of the final solution.
The research is characterized by sudden accelerations and decelerations of sense, that reveal in a constant loss of control in the performance, as Piccari himself affirms. But what could seem to be an elogio tout court of causality, is in fact a justification of “probalistic containment of the thing”; in this way Max Bense defines a determined status of surprise factor that, pervades the opera, guarantees the originality and the innovation.
The loss of control emerges in a clear way in the series of works centralized on the Yeti. It deals with painting on wooden tables painted white, absolutely minimal; the silicone-material is stratified “physically”, making the trip result depend from an absence of rest, from the not premeditated relationship between the speed of the test and that of the process of solidification on contact with air. The figure of the Yeti returns to the archetype. absorbing in its whole a component of the objective irony. It is Baudrillard who speaks about it again: the object assumes ironic connotation, as the universe has swallowed its double, becoming therefore spectral, transparent.
The question becomes even more entangled and incisive in the cycle of the Kings. The material – paper – unfinished of daily use – lets a dialectic rival emerge with the figure, symbolized by the crown, metaphor of empty sense.
The identity is a through it were absorbed, sucked to the inside of an abstraction, so as to provoke a thaumaturgical giddiness, as is felt in the Matador. Victim and executioner together, the matador defines in an ambivalent way a reality that is forced to pass “through” the mirror, to see that what before appeared “in” the mirror. The balance of the opera plays on the mixture – always at the limit – of archetype and ordinary, on the imponderable occurrence where the derivation has the better of the predictability.
The scrap, the bound become central categories in the “colletti”, double typology of works, complimentary. Those on paper are perceptively aggressive, to works, complimentary. Those on paper are perceptively aggressive to evidence the operation repeated to infringe and fill through the best. Piccari in fact designs on paper the borders of the figuration, indicates traces, outlines of a language that exorcises and illusion. The wax transfixed the lightness of the paper, revealing an icon on the other side.
The lack of control makes it so that paradoxally, the only possible identity resides in the speculated impression, in the double. The availability in series of the colletti makes the structural aspect useless, making, revealing repetetivity of the wrapping – from recognizable only in the exterior: the irony implied in this process makes the opera aesthetically readable.
The sequence of the colletti on the ground is proposed as a very disturbing installation. Piccari cuts drawing card, covers it with cloth, pictorially intervenes, defining forms that are closed around empty paradigms of the invisible, of the brief interception. Resting the colletti on mats, any object, of which the meaning is identified with the use; in this way is not only accentuated by the loss of identity, but evidenced by the fact that it, to exist, – even in the weakness on its appearance – it must be continuously flogged, provoked, trampled.
To demonstrate how the existing roles are confused, Piccari proceeds further, elaborates photographically portraits of anonymous faces, stolen from an indifferent crowd, in situations of normal banality.
The alteration of cold objectivity (the photographic means) and the irrationality (the loss of control in the elaboration) is also evidenced in the catalogue, real and proper book-opera, crowded with debordante images, one on top of another.
They are fragments of reality, clues continuously remixed; drawing their strength to know how to recompose and remodel outside of common places. What counts is not in fact the single fragment, as much as the chain reaction instead that they provoke, as the plastic billiards demonstrate, condemned by their lightness of movement, to be everywhere and nowhere at the same time.
Metonymy of the identity of man that resides – perhaps – in his short circuiting.

Tiziana Conti

© 2020 Federico Piccari – Torino –
email: federico.piccari.fp@gmail.com
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